Perché l'anestesia dei sentimenti è un rischio della nostra civiltà

04.09.2015 15:10

di Massimo Recalcati, repubblica.it, 24 agosto 2015

Oggi la psicopatologia rubrica sotto la diagnosi di alessitimia la profonda difficoltà a riconoscere e a nominare i propri stati emotivi. Si tratta di un congelamento affettivo della vita umana. La sua diffusione più recente sembra indicarci che questa sindrome intercetta un disagio specifico della nostra Civiltà. Il nostro tempo non è più quello dei grandi folli, della rivolta eroica della follia, del suo elogio anche ideologico che ha sedotto molti intellettuali – da Erasmo da Rotterdam a Deleuze – , ma quello di un conformismo sospinto che tende a spegnere il desiderio del soggetto in un grigio uniformismo.

Un grande psicoanalista come Winnicott, già negli anni 50-60 del secolo scorso, ebbe il grande merito clinico, insieme ad Helene Deutsch, di aprire le ricerche della psicoanalisi ad una forma psicopatologica che non aveva più a che fare con la rottura drastica dei rapporti del soggetto con la realtà che si riscontra, per esempio, nei quadri psicotici. Se nel soggetto delirante l’inconscio esplode a cielo aperto travolgendo la realtà, in queste nuove forme di sofferenza è il soggetto che perde contatto con il proprio inconscio, dunque con la propria vita emotiva. Il risultato è una vita che si smarrisce in superficie perché non è più in grado di entrare in contatto con il proprio desiderio. Winnicott ha descritto queste personalità con il termine di “falso sé”.

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