Il terrorismo e il nemico dentro di noi

04.09.2015 14:33

Sembra strano che per parlare dell’odio si debba partire dall’amore ma, come ben sanno gli psicanalisti, l’amore troppo spesso si trasforma in odio. Quando l’oggetto amato sfugge al nostro controllo, al nostro desiderio di possesso, alla nostra aspettativa di predominio, l’amore si trasforma facilmente in rivendicazione, di ciò che ci è stato portato via o che abbiamo tanto bramato e non ci è stato concesso, e poi in odio.
Randy Borum, professore di criminologia e psicologia dell’University of South Florida, spiega che il motivo per cui alcune persone sono più propense ad abbracciare l’estremismo è da ricondurre al bisogno di appartenenza insito in ogni essere umano. Questi soggetti manifestano a livello psicologico una vulnerabilità proprio sul loro bisogno di sentirsi che appartengono a qualcosa che gli dia un senso. È indicativo il dato che queste persone non si riconoscono e non trovano molto senso nel sentirsi britannici, ma invece nel sentirsi mussulmani. Molti potenziali terroristi trovano nei movimenti radicali e nei gruppi estremisti il senso della vita, di significato, di connessione e di appartenenza. È come se appartenere ai gruppi estremisti ed abbracciare le loro ideologie aiuti le persone ad affrontare le loro insicurezze riguardo se stessi e il mondo che abitano.
Freud, come ricorda il dottor Massimo Recalcati nel suo recentissimo libro “Sull’odio” (edizioni Bruno Mondadori) “insegna che ciò che si odia nell’altro è quella parte di noi stessi che ci risulta insopportabile”, quella parte che è in contrasto con la rappresentazione ideale che ci siamo fatti di noi. In pratica quando la nostra immagine ci delude, la sola possibilità è “proiettarla” sull’altro, su un nemico, su qualcuno che viene considerato pericoloso, straniero, diverso, per esempio perché extracomunitario o diverso per orientamenti sessuali, i gay, e quindi penalizzarlo, escluderlo.
Per lo psicoanalisi francese questa ambivalenza nei confronti della propria immagine può essere la sorgente di comportamenti aggressivi, al punto da essere patologici; ne deriva che il comportamento aggressivo verso l’altro è, di fatto, una aggressività scatenata verso chi rappresenta e in modo parziale o totale una parte di noi stessi, quella parte che non ci piace. “L’odio – scrive Recalcati – è una passione cieca. Ciò che si odia nell’altro è ciò che non si tollera o non si vuole vedere di se stessi”.
“Uccidere in nome del bene, in nome di Dio – scrive Recalcati – significa non porre più limiti al male” e questa agghiacciante logica apre le porte a tutte quelle drammatiche situazioni di cui la stampa ci informa quotidianamente. I fondamentalisti “identificano un ideale di purezza che porta all’odio dell’altro, vissuto come impuro, corrotto”.
Non è da sottovalutare, inoltre, che gli atti di terrorismo coinvolgono emotivamente tutta la popolazione avversaria, non solo quindi obiettivi come gli uomini di governo, i politici e le forze armate. Il terrorista ottiene, con l’effettiva uccisione di poche (o molte) vittime, il condizionamento inibitorio di tutta la popolazione avversaria. Il coinvolgimento emotivo riguarda la potente stimolazione di ogni forma di paura che risieda nella personalità della vittima. Si amplificano infatti non solo la paura della morte, ma anche quelle intime e soggettive della paura delle malattie, degli incidenti, delle brutte notizie e di molte altre ancora. C’è inoltre una più forte intolleranza allo stress e alle frustrazioni. Aumenta la diffidenza e l’ostilità verso tutto ciò che è straniero, sconosciuto, estraneo al proprio quotidiano. Persone che già avevano per motivi personali un precario equilibrio psicologico, dopo l’11 settembre si sono ritrovate a non dormire, a non riuscire a stare da sole, a rifiutare i luoghi affollati e a far un uso massiccio di psicofarmaci sedativi. Tutti questi effetti psicologici e comportamentali rappresentano l’obiettivo del terrorismo.
C’è da dire inoltre che il terrorismo con il suo carico di sangue e di odio stimola e gratifica anche la componente violenta e distruttiva del nostro inconscio, cioè il nostro istinto di morte. Dentro l’inconscio di ognuno di noi risiede una componente violenta e distruttiva che chiede di tanto in tanto di essere soddisfatta in qualche modo. La rabbia, l’odio, sono dei fuochi che si autoalimentano fino alla distruzione avvenuta dell’ipotetico “avversario”. Ma in questo modo ci saranno sempre nuovi avversari. Perché i veri avversari siamo noi stessi. È una lezione che abbiamo imparato bene dai totalitarismi europei del secolo scorso (vedi fascismo, nazismo, comunismo). Il rischio che si viene a creare è che la linea tra vincitori e vinti risulta molto sottile.

di Laura Iozzo, catanzaroinforma.it, 22 gennaio 2015.

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