Un momento delicato per i ragazzi. C’è chi lo teme come una vendetta

29.12.2015 15:35

di Vanna Barenghi, repubblica.it, 16 giugno 1985

Ogni anno, soprattutto quando la scuola finisce, un certo numero di adolescenti cerca di morire (è successo anche nei giorni scorsi). Perché? Lo abbiamo chiesto a Massimo Ammaniti, noto psicoanalista e psichiatra.
“Non c’ è dubbio che l’ adolescenza sia un momento molto difficile della vita. Negli Stati Uniti sta addirittura diventando un problema sociale. Proprio poco tempo fa è andato in onda un teleromanzo a puntate sulla storia di due adolescenti che, alla fine, si uccidevano perché non si sentivano capiti dal loro ambiente. Dopo il programma è stato trasmesso una specie di “decalogo” per i genitori, con il quale li si invitava a seguire molto attentamente quelli che erano definiti “i comportamenti a rischio” dei loro figli. Questa davvero mi sembra una cosa assurda perché non esiste adolescente che non sia un po’ strano e questo “decalogo” finisce con il creare tensioni e allarmismi inutili se non negativi”.
Ma cosa succede al bambino che cresce?
“Nell’adolescente si rompe, a livello interiore naturalmente, una continuità di rapporti con le figure significative della sua vita: non so, il bambino, almeno fino ai dieci anni, è abituato ad essere vestito dalla madre ed è anche abituato a considerare i genitori come un punto fondamentale della sua vita. Si affida a loro completamente. Dice: ‘Faccio questo perché papà e mamma pensano che debba essere fatto'”.
E poi che cosa succede?
“Direi che per prima cosa interviene la modificazione del corpo che prima, nella fantasia, apparteneva alla madre che appunto se ne occupava. Un corpo che non era ancora sentito come un’altra cosa rispetto a quello della madre. E poi cambia anche il modo di guardare alla propria famiglia. L’adolescente è spinto a staccarsene perché sennò è rovinato, non cresce, sente di non andare avanti e di rimanere in una posizione infantile che non può più essere la sua.
A questo punto si sente come tradito: i genitori che fino ad allora l’avevano protetto diventano, ai suoi occhi, persone che lo hanno deluso. Che gli avevano promesso una sorta di immunità dalle sofferenze ma che in quel momento lo “abbandonano”. Tutto questo, ovviamente, avviene a livello mentale.
E nasce una terribile confusione: l’adolescente non sa più chi è lui stesso. Una confusione di identità ma anche sessuale perché si trova davanti a un corpo che non riconosce e deve fare i conti anche con un’immagine di sé che si modifica”.
Sì, ma per fortuna non tutti gli adolescenti cercano di suicidarsi. Chi invece lo fa, perché lo fa?
“La perdita del mondo infantile è comunque vissuto come un lutto. E questo da tutti. Nella maggior parte dei casi però il rapporto con i genitori è stato sereno e positivo e questo permette all’adolescente di staccarsi dal mondo dell’ infanzia senza troppi traumi perché non ha “conti in sospeso” con nessuno”.
Cosa vuol dire “conti in sospeso”?
“Vuol dire che un ragazzino ha avuto delle fantasie troppo aggressive nei confronti dei genitori, fantasie preponderanti che creano un senso di colpa. E la perdita del mondo infantile è vissuta come una “vendetta”: “Ti lascio perchè sei stato cattivo”. Ed è a questo punto che interviene la scuola. La sconfitta, il fallimento diventa o può diventare una ulteriore vendetta degli adulti. Nella realtà succede quello che questo tipo di adolescente viveva nelle sue aspettative più interne: la rappresaglia degli adulti per via di quei “conti” aperti con il passato.
E allora il tentativo di suicidio serve a dimostrare la propria forza nei confronti di quella minaccia: “Io sono più forte, non mi faccio schiacciare da niente”. Questo è, in qualche caso, l’unico modo di controllare queste minacce, sentite come insostenibili. Quello che colpisce è che spesso l’adolescente non ha l’ esatta percezione della morte, nel senso che per lui il darsi la morte, oltre a schiacciare i “nemici”, significa il potersi ricongiungere con una situazione arcaica, con un mondo ideale, una sorta di Nirvana attraverso il quale non solo tiene in iscacco i suoi persecutori ma ricrea questa unione idealizzata e primitiva soprattutto con la madre della prima infanzia. Attraverso questa unione annulla la situazione di sofferenza e raggiunge una specie di perfezione narcisistica. Insomma la morte, più che come evento reale viene vista da questi ragazzi come una regressione a uno stato primitivo e indifferenziato. Si tratta evidentemente di adolescenti che attribuiscono a eventi reali, a fatti usuali della vita – come possono essere i cattivi voti o le bocciature – un significato che drammatizza conflitti interni molto forti: e proprio la scuola profila dei problemi che vanno molto al di là della scuola stessa”.

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